Due annunci (quasi) in contemporanea, a distanza di soli sette giorni l’uno dall’altro, entrambi estremamente importanti: Google che presenta il suo Project Stream (sucate, anzi suchiamo, per ora è disponibile solo negli USA) (qui le primissime impressioni di Jason Schreier di Kotaku), e Microsoft che annuncia ufficialmente, con qualche dettaglio in più rispetto all’E3, il suo Project xCloud.
E insomma, finalmente, forse, cominciamo ad arrivarci. Pian pianino, poco alla volta, ma ci stiamo arrivando. Dopo i primi, timidi tentativi di qualche anno fa (per dirne un paio, Onlive e poi Gaikai, fondata ormai un decennio or sono), il servizio GeForce Now di Nvidia partito tre anni fa ma mai decollato per davvero, e altri tentativi ancor meno riusciti come Vortex, cominciano a muoversi i veri “big”, e il gioco comincia – forse – a farsi davvero serio.
Sto parlando di giocare in streaming, di cloud gaming, di quella figata pazzesca per cui il gioco non risiede fisicamente in alcuna console o computer di casa, ma arriva via internet su qualsiasi dispositivo connesso alla rete, che si tratti del browser Chrome, come nel caso di Project Stream, o di un generico device provvisto di schermo e connettività. Di fatto, la versione videoludica di Netflix o Amazon Prime Video, dove i film on demand arrivano sul televisore senza necessità di dover avere un lettore fisico che si occupa di riprodurlo, lasciando questo aspetto ai server del servizio di turno. Solo che, come potete immaginare, nel caso di un videogioco la faccenda è un goccino più complicata: dal punto di vista meramente computazionale, naturalmente, perché far girare fluidamente Assassin’s Creed: Odyssey non è la stessa cosa che trasmettere Io sto con gli ippopotami in Full HD. Più di tutto, però, c’è il problema dell’interazione dell’utente, che deve muovere la periferica di input (il pad, dai) e in tempo praticamente reale il gioco dovrebbe reagire ai suoi comandi, solo che in questo caso il segnale non viaggia lungo un filo o un collegamento bluetooth dal pad alla console, ma deve attraversare mezzo mondo, arrivare ai server di gioco, venire interpretato, e tornare indietro. In continuazione. Non mi metto neppure a fare tirate sul digital divide in Italia, tanto sono tutte cose che sappiamo e che ci siamo già detti mille volte. Passerà (speriamo).
Per noi giocatori duri, il cloud gaming (o il game streaming, o come qualche persona più esperta di marketing deciderà di chiamarlo) potrebbe essere davvero una festa: niente più corse all’accaparramento dell’ultima scheda video o all’upgrade del PC per sbloccare gli effetti video più “gaaaahh”, niente console da cambiare ogni cinque anni (compresi gli update di metà carriera), ma solo un device in grado di far girare degnamente il segnale video, un controller e una buona connessione.
Per noi giocatori poveri, potrebbe essere ancora più festa: per i motivi visti sopra, chi oggi non ha denaro per aggiornare il suo vecchio PC o la console, può semplicemente decidere di non farlo, e giocare comunque a Cyberpunk 2077 sul suo terminale Android cinese (OK, non come su un 75” 4K HDR, ma secondo me è una cosa fichissima lo stesso).
Per l’industria, potrebbe essere la festa degli abbonamenti, delle subscription, del flusso di denaro garantito tutti i mesi, a prescindere da qualità e quantità di uscite di “peso”. Lo auspico per servizi come Steam o GOG già da un po’ di tempo, son contento che Microsoft cominci a farlo per i titoli Xbox, e per una tecnologia di questo genere è l’unica strada percorribile.
(Al di là del fatto che le possibilità sono infinite, davvero, e basta lasciarsi andare un po’ con la fantasia per immaginarsi abbonamenti “patrone ti monto” con tutte le uscite più recenti, a quelli dedicati ai classici del passato, o a una particolare piattaforma, in una più che redditizia operazione di salvaguardia del passato videoludico, anche se più realisticamente ci sarà un solo abbonamento per l’intero catalogo e bon, più o meno come già accade per Netflix o lo stesso Xbox Game Pass, troppo complicato prevedere tier diversi, o “canali” tematici à la Sky).
In tutto questo, ne sono fortemente convinto, il programma Xbox Game Pass di Microsoft è stato solo il primo, intelligente tassello di quella che, a tutti gli effetti, appare oggi come un’operazione molto più grande e ambiziosa e che, se condotta con la giusta dose di intelligenza e spregiudicatezza, potrebbe davvero rivoluzionare il nostro modo di giocare. Io non vedo l’ora (e rimango in attesa di una contromossa di Sony che sia all’altezza).