L’altro giorno ero lì bel bello, intento a incassare schiaffi roteanti in un dungeon di Pillars of Eternity, quando si è avvicinato alla postazione il mio pargolo undicenne, con fare a metà tra il faceto e il perplesso. «Stai giocando in multiplayer?», mi ha domandato? Ho aspettato qualche secondo per rispondere, scrutandolo sottotraccia, mentre il mio personaggio principale – ironicamente – lanciava una magia per l’aumento della Resistenza. «No Teo… questo è un Gioco di Ruolo che va percorso da soli, e che peraltro dovresti provare, visto che sei entrato da poco nel tunnel brutto di D&D». La sua espressione ha mutato rapidamente da curiosa a disinteressata: «Allora non me ne frega nulla!», ha chiosato, e se n’è tornato bel bello nella sua stanzetta per una sessione a Fortnite con i compagni della scalcinata squadra di calcio in cui milita. La stessa scena si era ripetuta qualche giorno prima, mentre ero occupato a portare a casa faticosamente una Vittoria Culturale in quel di Civilization VI, o ancora durante l’abbattimento di un colosso in Shadow of the Colossus.
Eppure ci ho provato. Qualche barlume era apparso nella mente del giovane virgulto, quando aveva dedicato un paio di ore a Dead Cells, allo stesso Civilization VI (ormai un anno e rotti fa) o a Dark Souls. Fiammelle fatue in un cimitero, che si sono spente nel giro di poco, soffocate dal fiume in piena di Clash Royale, di Overwatch, di Rainbow Six Siege, di Titanfall 2 e – ovviamente – del già citato, dannatissimo Fortnite. A voler ben vedere, l’unico titolo single player che lo abbia coinvolto per più di mezza serata è stato The Legend of Zelda: Breath of the Wild, ma suppongo abbia contribuito il fatto di averlo avuto tra le mani in un momento in cui eravamo senza connessione, e che quindi il figliolo abbia più fatto buon viso a cattivo gioco, che essersi fatto trasportare dall’innegabile bontà del capolavoro di Nintendo. Certo, se guardo a mia figlia la tenzone vira verso un sostanziale pareggio. Giulia, tuttavia, fa davvero poco testo, giacché pare una mosca bianca partorita in un’altra generazione: legge tantissimo (preferendo i libri di carta!), ascolta musica di una certa qualità e sta sviluppando una curiosità tutta sua per i videogiochi single player. Chiacchierando con i coetanei di entrambi i miei figli, il quadro resta desolante.
Attenzione a una cosa: non vorrei passare per un vecchio barbogio, legato a un passato fatto di ragnatele e ricordi. Non è vero che si stava meglio quando si stava peggio, e io mi diverto tantissimo anche in multiplayer: ho passato nottate fantastiche in quel di EverQuest; mi sono consumato i polpastrelli su Rainbow Six 3, assieme a una ciurma improponibile di ex clienti del negozio che gestivo; più di recente, ho vissuto “Crogiolini” ultra-intensi con Claudio Todeschini e Marco Tassani dalle parti dei due Destiny. Single e multiplayer sono due facce della stessa medaglia, altrettanto importanti perché questa abbia un valore, almeno ai miei occhi.
Chiacchierando con i coetanei di entrambi i miei figli a proposito di single player, il quadro è desolante
Certo, ognuno si diverte come gli pare, e io non posso criticare più di tanto chi predilige una cosa all’altra. Il problema è che la generazione di ragazzini che sta oggi maturando ha i paraocchi e guarda in una sola direzione, e questo un po’ mi spaventa. Publisher e software house non sono ONLUS e devono andare dove tira il vento, se vogliono sopravvivere; solo pochissimi possono permettersi il lusso di tirare dritto per la propria strada, laddove persino Rockstar ha “scelto” a una certa di stoppare la produzione di giochi nuovi (da GTA V a Red Dead Redemption 2 sono passati ben 5 anni) per alimentare a dovere la macchina stampa-soldi chiamata GTA Online. I ragazzini indirizzano il mercato già adesso, tra richieste ai genitori e mancette natalizie spese in microtransazioni. Mi chiedo cosa succederà tra qualche anno, quando troveranno un lavoro che gli potrà permettere di allocare una cifra maggiore sulla loro esigenza di divertimento: evolveranno o resteranno per sempre legati a un modo di vivere il videogioco esclusivamente in multiplayer? Per quanto basterà ancora la forza di noi vecchietti nel sostenere un single player di cui, evidentemente, alle nuove generazioni “always on” frega poco o nulla? Mala tempora currunt.